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TANTO ORMAI...


In questa scheda parlerò del “TANTO ORMAI…”
Che cos’è il “TANTO ORMAI…”?
È uno dei pensieri disfunzionali più potenti e micidiali che io abbia sperimentato nei miei anni giovanili di abbuffate compulsive.

È stato consolante, ma anche deprimente dall’altro lato, sentirne parlare negli aggiornamenti, quando lavoravo. Consolante perché mi ha fatto capire di non essere l’unica a comportarsi così, ma deprimente nel rendermi conto di quanto profonda fosse la mia sofferenza in quegli anni.
Il “TANTO ORMAI…” è quell’idea che ti porta inevitabilmente a svuotare il frigorifero quando hai mangiato un solo pasticcino avanzato dalla festa di compleanno del nonno o di tua figlia. Ti fa finire la scatola di Pochet Coffee, il barattolo di mayonese, la frittata di cipolla che in realtà non ti piace neanche.
È un comportamento che si basa sull’idea profondamente distorta che divide tutto il mondo, tutta la nostra vita, in due sole categorie:
• bene e male
• bianco e nero
• giusto e sbagliato
• buono e cattivo
• bello e brutto
e potremmo continuare all’infinito.
Questo tipo di pensiero viene chiamato in termine “tecnico” dicotomico cioè diviso in due parti.

Cito dal sito nuovoeutile.it di Annamaria Testa, giornalista, saggista e pubblicitaria:

“Il pensiero dicotomico è molto rassicurante, specie se il pensatore mette automaticamente sé stesso dalla parte della ragione, dell’intelligenza, della giustizia, della bellezza e della verità….” (naturalmente non è il nostro caso, noi ci mettiamo automaticamente dalla parte dell’errore, della stupidità, della stronzaggine, dell’ignoranza, dello schifo totale, questo lo dico io, Elisabetta Giovetti)

“Il pensiero dicotomico è una distorsione cognitiva: uno dei tanti bias (significato: inclinazione, distorsione, polarizzazione) che possono offuscare la nostra capacità di giudicare e di prendere buone decisioni, perché deformano o cancellano tutti gli elementi non congruenti con la visione in bianco e nero, che invece andrebbero ragionevolmente considerati….”

“Il pensiero dicotomico è sì rassicurante, almeno nel breve periodo, ma a lungo termine presenta diversi svantaggi:
• limita la nostra capacità di leggere e capire il mondo, che non è sempre e solo o bianco o nero, e che soprattutto non continua a essere sempre o bianco o nero sempre, dappertutto e alla stessa maniera.
• riduce la quantità delle scelte che abbiamo a disposizione e cancella ogni possibilità di mediazione e di sintesi. E, a furia di cancellare scelte possibili, è facile sentirsi o furiosi o impotenti, e magari entrambe le cose nello stesso momento. Una brutta sensazione.
• preclude soluzioni creative: se i vincoli sono ferrei, i confini sono tracciati, i giudizi sono inappellabili e il percorso giusto è uno e uno solo, non resta spazio per l’invenzione di alcuna alternativa nuova o migliore.
• è un pensiero di tipo egocentrico e infantile: i bambini piccoli non hanno strumenti cognitivi sufficienti per cogliere la gradualità e le sfumature o per accettare l’ambiguità.
• induce la depressione: ciò che non va bene non potrà che continuare ad andar peggio. Ciò che è sbagliato diventerà irreparabile. Ciò che è brutto diventerà mostruoso, ciò che è pauroso diventerà terrorizzante, ciò che è negativo diventerà catastrofico… e non c’è scampo.
• gli psicologi dicono che il pensiero dicotomico è indicativo della possibile presenza di un disturbo della personalità…….”

“Procedere per dicotomie, dilemmi e alternative che si escludono una con l’altra può essere perfino necessario quando si vuole scegliere una causa su cui impegnarsi. Può comunque essere un modo per districarsi nella complessità, sbrigativamente sì, ma almeno senza finire intrappolati in mille distinzioni sempre più sottili….”

Però ragionare in questa maniera ci porta a finire tutto il pacco di biscotti se ne abbiamo mangiato anche soltanto uno. Tanto ormai abbiamo sgarrato… quindi tanto vale scofanarsi tutta la confezione.
Ci porta a pensare che il nostro lavoro, progetto, su cui abbiamo tanto sudato è uno schifo totale perché ci siamo accorte di un piccolo errore.
Ci porta a pensare che tutto l’impegno che abbiamo messo negli ultimi mesi per compilare il nostro diario alimentare è nullo perché abbiamo avuto un attimo di cedimento e siamo ricadute nell’abbuffata o nel vomito auto-indotto.
Insomma da quella piccola falla, non c’è niente da fare, entrerà sempre più acqua, più acqua, più acqua. E ormai siamo perdute, la nostra misera barchetta affonderà senza scampo! E noi che credevamo di essere migliorate, di essere state brave, in realtà siamo la solita merda di prima!

NON È COSÌ!


Infatti mangiare un biscotto non è la stessa cosa che mangiarne cinquanta. E un piccolo errore nel nostro elaborato o progetto non porterà il nostro capo a pensare che continuiamo a essere delle povere cretine come ci ripetiamo da sempre nei dialoghi con noi stesse. Una ricaduta, una abbuffata, un errore non invalida tutto il lavoro che abbiamo fatto fino ad oggi, non ci rende un rifiuto della società!
L’errore può insegnarci qualcosa se affrontato in modo costruttivo e i miglioramenti, ricordate, progrediscono gradualmente. Niente succede di colpo, non abbiamo la bacchetta magica.
Nessuno ce l’ha!
Se consideriamo attentamente il nostro diario alimentare noteremo che le prime settimane le abbuffate o i momenti di crisi erano presenti tutti i giorni e poi man mano si diradano sempre più. Abbiamo iniziato con un solo giorno sì alla settimana, ma piano piano sono aumentati e quelli no calati. Un po’ alla volta, con molto impegno, riusciamo a gestire meglio le nostre voglie alimentari e adesso le giornate positive sono diventate cinque su sette.
E diventeranno sette su sette!
Una abbuffata non può aver annullato tutto quello che abbiamo imparato fino ad ora.
Impariamo a ragionare su cosa ha scatenato la nostra perdita di controllo senza colpevolizzarci eccessivamente.
Insomma combattiamo con furore il “TANTO ORMAI…”

Per approfondimenti si può consultare anche il sito “istitutobeck.com”





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